Ci è data da oggi un’altra occasione di grazia, l’ennesima occasione di grazia.
Il rinnovarsi di un invito ad un incontro, questo è il tempo quaresimale.
La Parola di Dio è una buona notizia che sempre vuole ridarci fecondità, sia che abbiamo molta vita davanti sia che ne abbiamo molta alle spalle.
Il vangelo e la Grazia del Signore non sopportano sterilità, il seminatore sempre esce a gettare di nuovo, con abbondanza, il frutto del suo cuore.
E non c’è terreno che possa resistergli.
Ritornate a me, dice il Signore, questa è la via della vita. Qualunque direzione abbiamo preso, qualunque siano i nostri progetti o i nostri fallimenti, se possediamo desideri o se sono i desideri a possedere noi, occorre fermarci, questo è l’invito di Dio, fermarci e fare spazio, ritrovarsi, ritrovare Lui.
La sua grandezza si fa piccola per incontrare la nostra piccolezza.
Ritornate a me con tutto il cuore, ritornate con veridicità.
Il digiuno, il pianto, il lamento sono segni che dicono la verità di noi stessi, la verità dell’uomo.
Che cosa siamo infatti?
Le letture di domenica scorsa dicevano che siamo come gli uccelli del cielo, siamo come i gigli del campo, siamo creature certo, ma per Dio molto di più, molto di più.
Dove lo vede Dio questo di più ?
Dal punto di vista della natura siamo di meno, non nasciamo vestiti neanche di piume, e non riusciamo a vivere del solo raccogliere frutti.
Sappiamo essere più feroci delle belve e non altrettanto astuti.
Il di più dell’uomo sta nell’amore di Dio che lo veste e lo nutre, un amore che conosce e soddisfa tutti nostri bisogni, così tanto che si è fatto carne come noi per attraversare il nostro bisogno più grande e farsi risposta.
Il digiuno serve a questo, a fare un vuoto che ci aiuti a riconoscere che il necessario non proviene dai nostri sforzi o dai nostri accumuli ma dal Suo Amore.
Fare spazio per lasciarci incontrare, entrare nel silenzio dove la parola può rivelare, evocandola, la verità.
Il digiuno purifica i desideri e ci permette di esserne i padroni, di decidere cosa desiderare facendo una selezione in base alla reale vitale necessità.
Perché dobbiamo riconoscere che di solito i nostri desideri sono imposti da altro, noi siamo schiavi a cui è imposto di desiderare cibo che non sfama e acqua che non disseta, ma soprattutto schiavi a cui è imposto di desiderare di non essere mai soddisfatti.
Il digiuno dice ciò che realmente siamo, un vuoto bisognoso di tutto.
Un silenzio che contiene il senso di tutto.
Il pianto e il lamento (della prima lettura) sono la forma più veritiera della preghiera.
La preghiera fatta nelle lacrime è l’unica che esprime verità perché non solo la mente pensa, il cuore chiede ma anche l’anima partecipa.
Lacrime di ringraziamento o lamenti di dolore, salgono a Dio come preghiere veritiere di ciò che siamo, offerte gradite, invocazioni efficaci.
L’unica cosa che il Signore non sopporta è l’ipocrisia, il mettersi la maschera per celare il proprio vero volto.
Il Signore non lo sopporta perché è l’unica cosa che impedisce l’incontro, non lascia penetrare il seme, rende sterile il dialogo.
Invece noi quando ci presentiamo a Dio la prima cosa che facciamo è indossare la maschera pensando di mostrarci migliori di quel che siamo.
Ma il Signore ci dice:. lascia perdere, dimentica il giudizio di chi ti guarda, nasconditi e lasciati guardare solo da me, che ho uno sguardo d’amore unico per te.
Ci incontreremo “nel segreto” e lì ci riconosceremo.
Se ci specchiamo in noi stessi cercando di sembrare ciò che vorremmo essere facciamo infatti la fine di Narciso, perdiamo i nostri tratti nel cercarli, non raggiungiamo mai la nostra vera immagine.
Ma se ci specchiamo in Dio, se ci lasciamo raggiungere dal suo sguardo, se permettiamo che il suo volto si rifletta su di noi, allora troveremo quella immagine che ci rivelerà la nostra somiglianza più vera.
Non non dovremmo vivere di bisogni, ma scoprire che siamo un bisogno che si esprime con la lode del ringraziamento e con il dolore della propria piccolezza, come i bambini che sono fatti di bisogno in tutto.
Ma avere fede non significa riconoscersi piccoli e deboli, e neanche riconoscersi peccatori.
È sempre un po’ sterile questo movimento, se non ipocrita, è un ripiegarsi inutile.
Avere fede vuol dire mettere tutte le nostre piccolzze davanti a Dio, cosi come riconoscere che di tutte le bellezze e grandezze dobbiamo essere grati a Lui, al Signore.
Avere fede significa mettersi sotto il suo sguardo.
Agire nella fede nel segreto significa questo, curarsi di essere sotto lo sguardo di Dio piuttosto che sotto lo sguardo degli uomini.
Sapere che per lui siamo molto di più di ciò che gli altri dicono di noi, molto di più di ciò che la natura ci ha donato, molto di più persino di ciò che noi pensiamo di noi stessi.
Noi siamo il vuoto in cui il Signore ama riversare la Sua Grazia, siamo la debolezza che ama rivestire di saldezza, la nudità che veste di bellezza, la malattia che risana col perdono.
La nostra vita è soffio del suo stesso soffio, noi siamo emanazione del Suo alito vitale, la nostra esistenza è il molto di più per cui il Signore gioisce, geme, freme, si rallegra e soffre.
Noi siamo il palpito del suo cuore per cui ha dato il figlio.
La quaresima dunque è il ritorno ad un Padre che solo sa dirci la nostra bellezza, la nostra grandezza nella piccolezza che si lascia accogliere, nella fragilità che si sa custodita.
È un percorso per recuperare la fede, cioè per rimettere tutto sotto il suo sguardo, sotto la giusta luce, in quel silenzio dove le parole vengono alla luce e quel silenzio orante in cui Lui, ci nutre e ci trasforma rendendoci segno visibile della sua potente ed invisibile Grazia.
Maria, madre della Grazia divina, ci tenga per mano perché sia fedele e fecondo il nostro cammino verso la Pasqua adesso, e nell’ora della nostra morte.
Amen.